Con la firma dell’accordo tra Azerbaigian, Armenia e Russia dello scorso 10 novembre, apposta circa 24 ore dopo la presa della città di Şuşa da parte delle forze azerbaigiane, l’ormai trentennale conflitto del Nagorno Karabakh si è definitivamente concluso, consentendo il pieno ripristino della sovranità di Baku sui territori occupati dai separatisti armeni nei primi anni Novanta. Dopo la definizione dei dettagli per la restituzione degli ultimi distretti e le modalità dell’intervento di peacekeeping che Russia e Turchia dovranno garantire nei prossimi anni, per la regione si aprono nuove prospettive di sviluppo e l’Italia potrebbe contribuire direttamente a questo processo.
A cura della Redazione
Dopo la parata celebrativa di ieri a Baku, per il presidente azerbaigiano Ilham Aliyev è già il momento di pianificare il processo di reintegrazione nello Stato del Nagorno Karabakh e degli altri distretti occupati. Se dal punto di vista strettamente giuridico il diritto internazionale aveva fin qui sempre riconosciuto la sovranità dell’Azerbaigian sulla martoriata regione teatro del conflitto con l’Armenia tra il 1988 e il 1994, sul piano politico, economico e sociale c’è ancora tantissimo da fare.
Dopo ventisette anni di occupazione straniera, la devastazione, l’arretratezza e l’abbandono di molte aree della regione sono le prime impressioni che saltano all’occhio scorrendo le immagini giunte in Italia attraverso i media e le testimonianze riportate durante la recente visita ufficiale del nostro sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano, che ha fatto seguito a quella della delegazione parlamentare italiana guidata dall’On. Ettore Rosato (PD), vicepresidente della Camera, e composta dai senatori Maria Rizzotti (FI), Alessandro Alfieri (PD), Gianluca Ferrara (M5S), Adolfo Urso (FdI) nonché dai deputati Rossana Boldi (Lega) e Pino Cabras (M5S).
«Il conflitto del Nagorno Karabakh è finito e se qualcuno pensa che sia ancora in essere, si sbaglia», ha detto lo scorso primo dicembre Ilham Aliyev in un discorso alla nazione, aggiungendo che tutte le persone residenti nella regione, al di là dell’appartenenza etnica o religiosa, «sono cittadini dell’Azerbaigian». Aliyev ha promesso di ristrutturare tutti i distretti riconquistati e di «assumere tutte le decisioni» in suo potere per dare alla popolazione locale l’opportunità di «costruirsi una vita normale». Secondo Aliyev, infatti, «l’intero potenziale economico, agricolo e turistico di tutti i distretti liberati è enorme» ed è ora compito del governo «massimizzarlo per trasformare il Karabakh in una delle più belle regioni non solo dell’Azerbaigian ma del mondo intero».
Tutti, in Nagorno Karabakh, «usciranno dalla condizione di povertà» grazie ad una serie di investimenti ad hoc, a partire dalle infrastrutture. Sono già stati stanziati fondi direttamente dalla Presidenza per la costruzione dell’autostrada Füzuli-Şuşa e della ferrovia Bardà-Ağdam. Durante il suo discorso, Aliyev ha inoltre osservato: «La distanza tra Ağdam e Khankendi è di circa 20-30 km. Quanto tempo richiede un viaggio dalla capitale armena a Khankendi? Forse dieci ore di camion? Per di più, questo percorso passa tra le montagne. Da Ağdam a Khankendi si impiegherà mezz’ora».
Il nono paragrafo dell’accordo firmato lo scorso 10 novembre richiama poi la realizzazione, previa accordo tra le parti, di nuove vie di comunicazione tra l’exclave azerbaigiana della Repubblica Autonoma del Naxçıvan ed il resto del Paese, un aspetto-chiave per il futuro assetto logistico dell’intero Caucaso meridionale. «Posso dire che tutti gli attori ne trarranno beneficio», ha sottolineato Aliyev, ricordando come l’Azerbaigian stia potenziando i suoi collegamenti con Turchia, Russia e Iran. «Anche l’Armenia, se vuole, può prendere parte a questo corridoio», ha tenuto a precisare, proponendo la possibilità di creare una «nuova piattaforma di cooperazione a cinque», tema di cui il leader azerbaigiano sostiene di aver già cominciato a discutere con Putin ed Erdoğan, che hanno «risposto positivamente a questa ipotesi».
Rimproverando all’Armenia l’incapacità di sfruttare le opportunità economiche dell’era post-sovietica, Aliyev ha rimarcato: «Negli ambiti dei trasporti, dell’energia e della cooperazione economica abbiamo completato tutti i progetti. Alla fine di dicembre, il Corridoio Meridionale del Gas sarà completamente attivo. La sua componente finale, il TAP, è stata appena attivata». Come noto sin dalla sua genesi, questo progetto, ormai terminato con le ultime installazioni in territorio italiano, bypassa l’Armenia. Sorte analoga per l’oleodotto Baku-Tblisi-Ceyhan, che dalla capitale azerbaigiana raggiunge la Georgia per poi entrare in Turchia.
Aliyev ricorda come l’Armenia abbia scelto di estromettersi anche dall’altro grande corridoio energetico che coinvolge l’Azerbaigian, ovvero quello Nord-Sud, che connette Russia e Iran, parallelo alle nuove vie di trasporto, capaci di «incrementare il volume del transito merci di circa il 30-40% quest’anno». Alla luce di questi dati e del riposizionamento del Cremlino, che ha di fatto riconosciuto la superiorità militare dall’Azerbaigian sul campo, assecondandone i piani, per Yerevan non potrà che aprirsi una fase di forte riflessione interna per riconsiderare la sua linea di politica estera nella regione.
Oltre ad energia e trasporti, le nuove prospettive di sviluppo dei territori liberati coinvolgono anche la green economy. Per quanto riguarda la silvicoltura, gli occhi del governo sono puntati in particolare sui distretti di Laçın e Kalbajar, che vantano superfici forestali pari rispettivamente a 22.000 e 24.000 ettari. «Le foreste sono i polmoni del nostro pianeta», ha affermato Aliyev denunciando i disboscamenti e gli incendi attribuiti ai separatisti armeni nel corso degli ultimi trent’anni ed annunciando un piano di riforestazione e ristrutturazione delle infrastrutture danneggiate.
Passando all’agricoltura e all’acquacoltura, invece, Aliyev fa notare che numerosi fiumi, grandi e piccoli, si originano o transitano nelle aree dei distretti liberati. Tra questi ve ne sono alcuni considerevoli, compresi tra i 100 e i 200 km di lunghezza, come il Tartarçay (Kalbajar), il Bazarçay (Kalbajar e Qubadlı), il Khaçinçay (Kalbajar) e l’Hakari (Laçın). Si tratta di un aspetto molto importante, secondo Baku, perché le origini di tre dei principali fiumi dell’Azerbaigian, cioè il Kur, l’Araz e il Samur, si trovano in altri Paesi mentre il fatto che «le origini di quattro fiumi importanti si trovino ora all’interno del nostro Paese ci dà un grande vantaggio».
Come discusso anche durante le recenti visite dal nostro Paese, il potenziale per le aziende italiane è enorme. Potranno infatti essere coinvolte in progetti il cui ammontare si aggira intorno ad alcune decine di miliardi di euro di investimento. Di particolare interesse, per l’Italia, è il processo di sminamento che avverrà nei territori liberati, il ripristino e la tutela del patrimonio storico e i piani di ricostruzione, che andranno a prevedere importanti opere infrastrutturali. Come espresso dallo stesso presidente Aliyev nell’incontro con le delegazioni giunte da Roma, le imprese italiane potranno avere una corsia preferenziale in questi progetti, dati i forti legami maturati tra i due Paesi negli ultimi anni e anche la posizione obiettiva mantenuta dall’Italia in merito agli ultimi avvenimenti nella regione.
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