Cina. Ambasciatore Li: Noi trasparenti sin dall’inizio, consenso Xi-Trump unica scelta giusta possibile

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Comincia oggi un percorso che porterà Scenari Internazionali ad approfondire la risposta sanitaria e i piani di ripresa economica in alcuni Paesi del mondo. Il nostro viaggio immaginario non poteva che iniziare con un’intervista all’Ambasciatore cinese in Italia Li Junhua per cercare di ripercorrere le tappe di questa pandemia a partire proprio da Wuhan, laddove la malattia da SARS-CoV-2 ha presumibilmente avuto origine o, per lo meno, è stata per la prima volta identificata, nonché conoscere le strategie sanitarie messe in campo da Pechino, indicate come un modello di riferimento dalla comunità scientifica, e le prospettive di cooperazione internazionale.


A cura della Redazione


Ambasciatore Li Junhua, bentornato su Scenari Internazionali. Apprendiamo dalla stampa cinese che Wuhan sta lentamente tornando alla normalità, ad oltre tre mesi dall’inizio della terribile epidemia da Covid-19 che ha colpito la città e tutta la provincia dello Hubei. Qual è la situazione oggi in Cina? In che modo il Paese sta cercando di tornare alla normalità?
Come sa, l’8 aprile scorso, ovvero dopo 76 giorni di chiusura, la municipalità di Wuhan, la zona della Cina più fortemente colpita dell’epidemia, è stata finalmente riaperta. Questo mostra come, grazie all’impegno instancabile del governo e del popolo cinese, l’epidemia da Covid-19 sul territorio nazionale sia fondamentalmente sotto controllo. In molte province cinesi non si registra incremento dei casi e le attività produttive e quotidiane stanno accelerando la ripresa. Ovviamente questo non significa che non ci sia più pericolo in Cina, al contrario ci troviamo sotto pressione perché dobbiamo “proteggerci dai casi importati ed evitare l’effetto boomerang sul territorio nazionale”. Inoltre, il lavoro di prevenzione e contenimento dell’epidemia rimane una sfida enorme nel processo di ripresa delle attività produttive e industriali.
Credo che per “ritornare alla normalità” sia necessario un processo graduale che richiede l’impegno di tutte le parti. Ad esempio, moltissime città cinesi continuano ad effettuare le misurazioni della temperatura nei luoghi pubblici, richiedono ai cittadini di indossare la mascherina per uscire e di usare app e altri dispositivi tecnologici per aiutare il contenimento dell’epidemia in modo digitale e dinamico. Chiediamo alle aziende di mantenere l’allerta durante il processo di ripresa delle attività produttive e di prendere tutte le misure necessarie per garantire effettivamente la sicurezza e la salute dei lavoratori. La Cina ha anche emanato una serie di politiche volte a iniettare liquidità, ridurre i tassi, concedere prestiti agevolati alle micro, piccole e medie imprese per aiutarle a superare le difficoltà.

Sulla stampa internazionale sono comparsi diversi articoli critici nei confronti del governo cinese, accusato da alcuni osservatori di aver ritardato o addirittura omesso le comunicazioni riguardanti l’epidemia. C’è molta confusione e l’opinione pubblica nei Paesi occidentali è divisa tra chi comprende che la Cina ha dovuto per prima fronteggiare questo nuovo virus, ignoto fino a Dicembre, e chi invece la ritiene responsabile della pandemia in corso. Qual è la Sua opinione a proposito?
Queste accuse, assolutamente prive di fondamento, nascondono secondi fini. Dall’inizio dell’epidemia, il governo cinese ha mantenuto un atteggiamento aperto, trasparente e responsabile nel diffondere le informazioni. La linea temporale di azione è perfettamente chiara.
Vorrei ripercorrere alcuni momenti-chiave. Il 27 dicembre scorso, un medico di Wuhan ha riportato i primi tre casi sospetti; il 29 dicembre, i dipartimenti locali del Centro di Controllo delle Malattie cinese e gli ospedali hanno avviato le indagini epidemiologiche; il 31 dicembre, il gruppo di esperti del Ministero della Salute cinese è arrivato a Wuhan per effettuare altre indagini sul campo. Il 3 gennaio, la Cina ha spontaneamente iniziato ad aggiornare regolarmente l’OMS e tutti i Paesi interessati sugli sviluppi dell’epidemia. L’11 gennaio 2020, la Cina ha pubblicato in rete e condiviso con tutto il mondo e con l’OMS i dati riguardanti cinque sequenze genomiche complete del nuovo coronavirus. Il 23 gennaio viene presa la misura, senza precedenti, di “chiudere” completamente e nel modo più rigido la municipalità di Wuhan. Di fronte ad un tipo completamente nuovo di coronavirus occorre del tempo dal momento in cui viene scoperto per studiarlo, testarlo e confermarlo. Non è possibile giungere a conclusioni affrettate prima di aver concluso lo studio scientifico.
La Cina si è impegnata per fare bene il proprio lavoro e lo ha condiviso con gli altri Paesi ed è quanto continuerà a fare. In base alla valutazione dell’OMS, le misure decise, forti e tempestive del governo cinese hanno evitato decine di migliaia di contagi. Molti Paesi sono concordi sul fatto che l’esperienza cinese è stata un esempio utile e ha fatto guadagnare tempo al mondo intero nella lotta contro l’epidemia. Il virus non conosce confini nazionali, non fa differenze ideologiche, è un nemico comune dell’umanità intera.
Di fronte all’epidemia, tutti i Paesi sono sulla stessa barca e debbono cooperare per affrontarla. Scaricare il barile della responsabilità e dare la colpa agli altri sono atteggiamenti che non aiutano i singoli Paesi ad affrontare l’epidemia e non sono utili all’impegno comune della comunità internazionale nell’affrontare la pandemia. Qualsiasi persona sana di mente in questo momento concentrerebbe l’attenzione sulla prevenzione e sul contenimento efficace della malattia, rafforzando la cooperazione internazionale per vincere il prima possibile la grande battaglia e fermare il virus.

La comunità scientifica internazionale, dati alla mano, ha mostrato che il SARS-CoV-2 è un virus molto subdolo perché è molto contagioso, è inizialmente lento e “silente” e può essere trasmesso anche da soggetti privi di sintomi. Le informazioni e le conoscenze accumulate dalla Cina a partire dallo scorso Dicembre sono in linea con quello che stiamo osservando nei Paesi occidentali o c’è qualche ulteriore elemento di novità?
Il Covid-19 è un virus ancora poco conosciuto, perciò per poterlo studiare approfonditamente è necessario un percorso. Soltanto basandosi sulle analisi scientifiche è possibile confezionare misure di prevenzione e contenimento efficaci. Dall’inizio dell’epidemia, la Cina ha fatto rapporto alla comunità internazionale sull’epidemia prontamente e in modo completo, ha diffuso apertamente le sequenze genetiche del virus e condiviso, senza alcuna reticenza, le sue esperienze cliniche e in materia di prevenzione e controllo con tutti i Paesi.
Il presidente Xi Jinping ha sottolineato più volte che la Cina è disponibile a portare avanti il concetto di “comunità dal futuro condiviso” e a condividere con tutti i Paesi le prassi di prevenzione e contenimento, sviluppando la cooperazione internazionale. Inoltre, è disponibile a fornire, a tutti i Paesi che ne hanno bisogno, tutto l’aiuto nelle proprie possibilità.
Questo è quanto abbiamo detto ed è quanto faremo. Ad esempio, gli esperti cinesi in prima linea hanno effettuato frequenti riunioni in video-conferenza con i colleghi italiani; tre team di esperti medici cinesi sono giunti in Italia per condividere le ultime informazioni sul Covid-19 e le prassi cliniche, portando anche in dono l’ultima versione dei protocolli clinici e una grande quantità di dispositivi e attrezzature medicali. Credo che tutto ciò abbia avuto un ruolo proattivo nella lotta dell’Italia contro l’epidemia e abbia messo in luce il tradizionale sostegno reciproco nelle difficoltà tra Italia e Cina.

Un recente studio statunitense dell’Università di Harvard ritiene che alcuni Paesi occidentali, tra cui l’Italia, abbiano risposto in modo errato e tardivo all’emergenza nella sua prima fase, affermando in sostanza che non è stata appresa pienamente la lezione fornita dal cosiddetto “modello Wuhan”. Come siete riusciti a piegare in poco tempo la curva epidemica, contenendo i contagi e limitando le perdite?
Di fronte all’esplosione dell’epidemia, il presidente Xi Jinping ha preso le redini della situazione in mano mettendo sempre al primo posto la sicurezza e la salute fisica delle persone, cercando di salvare le vite ad ogni costo. In tutta la Cina, uniformemente, sono state prese misure forti e decise, in una corsa continua e instancabile contro il virus.
La municipalità di Wuhan è stata isolata completamente, la provincia dello Hubei ha intrapreso misure di controllo sociale più rigide che mai, utilizzando i big data per l’identificazione dei contatti interpersonali al fine di interrompere la catena dei contagi. Nel giro di due settimane sono stati costruiti due ospedali specializzati, con un totale di 2.500 posti letto, e sono stati costruiti ospedali da campo per fare in modo che “nessuna casa, nessuna persona sfuggisse”.
Sono stati più di 40.000 i medici e gli infermieri che da tutto il territorio nazionale sono giunti a Wuhan e nello Hubei per aiutare i colleghi del luogo. Si è applicato un approccio attivo nell’integrare medicina tradizionale cinese e occidentale per trattare i pazienti. Il governo cinese ha anche chiesto alle altre province di aiutare lo Hubei. I fatti testimoniano come queste misure, soprattutto la prevenzione e il controllo basato sulla richiesta di “individuare, riportare, isolare e curare tempestivamente”, abbiano portato a risultati molto evidenti.

Alcuni osservatori in Europa e negli Stati Uniti hanno puntato il dito contro il materiale sanitario donato dalla Cina all’estero, considerandolo uno strumento di soft-power finalizzato a rafforzare l’influenza cinese in Occidente. Dall’amministrazione Trump arrivano considerazioni contraddittorie in questo senso: se il presidente, nonostante alcune insinuazioni, ha ringraziato e sembra voler chiedere aiuto alla Cina, il segretario di Stato Mike Pompeo continua ad accusare Pechino. Cosa ne pensa? Questa emergenza potrà aiutare a migliorare i rapporti tra le prime due economie mondiali o piuttosto aumenterà le distanze e le divergenze?
Recentemente, il presidente Xi Jinping, in un colloquio telefonico con il presidente Trump, ha affermato che occorre garantire che Cina e Stati Uniti mettano da parte le interferenze e concentrino l’attenzione sulla lotta all’epidemia. Le osservazioni di Mike Pompeo sulla Cina sono spesso false, piene di pregiudizi e remano in direzione opposta rispetto al consenso raggiunto dai due Capi di Stato.
Questa epidemia ci mostra chiaramente che una malattia virale non distingue regioni, etnie, ricchi o poveri. Di fronte ad una sfida sanitaria globale, nessun Paese può agire da solo, soltanto se si uniscono le forze e ci si aiuta a vicenda si può vincere la battaglia. Attualmente, la Cina si sta attenendo allo spirito del dialogo tra i due leader e sta mantenendo una serrata comunicazione con la controparte statunitense in ambito di prevenzione e controllo dell’epidemia, condividendo informazioni e prassi. Alcune province, città, aziende e organizzazioni della società civile cinesi hanno continuato a inviare donazioni di presidi medici agli Stati Uniti. La parte cinese ha anche fornito sostegno alla controparte statunitense per l’acquisto di dispositivi e presidi medici in Cina.
Che si guardi al passato, al presente o al futuro, la cooperazione tra Stati Uniti e Cina è vantaggiosa per entrambi, lo scontro dannoso per entrambi. Ad oggi, i rapporti sino-americani si trovano di fronte a uno snodo critico, la cooperazione è l’unica scelta giusta possibile. Speriamo sinceramente che gli Stati Uniti si muovano nella stessa direzione della Cina e sia possibile rafforzare la cooperazione multi-settoriale per la lotta all’epidemia e che sia possibile sviluppare rapporti sino-americani non conflittuali e di non opposizione, ma basati sul rispetto reciproco, la cooperazione e il mutuo vantaggio.




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