Eritrea. Ambasciatore Fessahazion Pietros: Nostra strategia è prevenzione, popolo eritreo encomiabile

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Prosegue il nostro viaggio virtuale nel mondo per capire come altre nazioni, al di fuori dell’Italia, hanno risposto all’emergenza Covid-19. Dopo aver contattato gli Ambasciatori di Cina, Azerbaigian e Corea del Sud, nonché la consulente iraniana Parnia Amani, il jet immaginario di Scenari Internazionali atterra ad Asmara, in Eritrea. Fin’ora, il piccolo Stato del Corno d’Africa è stato toccato molto marginalmente dal virus ma, visti anche i ben più alti numeri dei Paesi vicini, non si è trattato di semplice fortuna. C’è una strategia che, evidentemente, ha sin qui funzionato molto bene. Per saperne di più abbiamo rivolto alcune domande all’Ambasciatore eritreo in Italia Fessahazion Pietros.


A cura della Redazione


S.E. Fessahazion, bentornato su Scenari Internazionali. L’emergenza Covid-19 ha messo in grande difficoltà il mondo, a partire dalle economie più avanzate. Il Continente africano è stato fin’ora colpito di meno da questo nuovo virus e, stando all’ultimo monitoraggio dell’Unione Africana, nei 55 Paesi membri che la compongono, si registrano 95.201 casi di contagio, con 2.997 decessi e 38.075 guariti. In Eritrea, la situazione è tra le migliori con soltanto 39 casi, tutti già guariti. Quali strategie sanitarie ha adottato Asmara per avere numeri così rassicuranti?
La devastante pandemia scatenata dal Covid-19 che ha praticamente colpito tutti i Paesi su scala planetaria sconvolgendo l’esistenza di milioni di persone, non poteva certo risparmiare né l’Africa né l’Eritrea in un mondo così estremamente globalizzato come quello attuale. Anche l’Africa ha infatti avuto i suoi contagiati ed i suoi morti a causa di questo virus invisibile e pericoloso, sebbene relativamente limitati come dimostrano le statistiche (circa 95.000 casi di contagio e quasi 3.000 decessi su una popolazione continentale pari a poco meno di 1,5 miliardi).
È vero che nel caso dell’Eritrea vi sono state statistiche ancora più rassicuranti: 39 contagiati, ora tutti guariti, e nessun decesso. È certamente un ottimo risultato per un Paese che ha scarsi mezzi per poter arginare una pandemia di immani proporzioni, ma non vogliamo cantare vittoria prima che il mondo se ne sia liberato del tutto e che saremo certi che non vi sarà una seconda fase di questa terribile pandemia.
So che attualmente molti si stanno chiedendo quali siano state le strategie adottate dal Governo di Asmara. Le strategie, anzi, la strategia adottata è stata quella più semplice ed efficace, in particolare per un Paese dalle risorse limitate come l’Eritrea: la prevenzione.
In primo luogo è stato fondamentale il fatto che il nostro Governo ha compreso in anticipo – quando molti ancora si attardavano a discutere se si trattasse di epidemia o di pandemia – quali potessero essere le conseguenze del diffondersi del virus. Capire le conseguenze, soprattutto in un Paese in via di sviluppo come appunto è il nostro, è stato importante per mettere in campo le necessarie misure di prevenzione.
Già nella prima metà di febbraio, infatti, il Ministero della Sanità aveva deciso di realizzare un’intera struttura ospedaliera nella periferia di Asmara per porre in quarantena eventuali casi di individui contagiati. Il Ministero aveva inoltre messo in allerta il personale sanitario operante in tutto il territorio nazionale, disponendo anche brevi e specifici corsi di formazione e di informazione sul virus. Sono state disposte unità di controllo agli ingressi degli ospedali. Successivamente è stata istituita una Task Force di Alto Livello, un’Alta Autorità per l’Emergenza Sanitaria, capeggiata dallo stesso Capo di Stato, che si è messa subito al lavoro dando il via ad una mobilitazione generale accompagnata da una martellante campagna di sensibilizzazione della popolazione capace di raggiungere praticamente ogni singolo e remoto villaggio del’Eritrea.
Man mano che i contagi cominciavano a dilagare in tutto il mondo, in particolare in Paesi come la Cina, l’Iran, l’Italia ed altri, il Governo eritreo ha iniziato ad adottare misure sempre più restrittive. A cominciare dalla diffida – per tramite delle loro sedi diplomatiche ad Asmara – di cittadini di questi ultimi Paesi a recarsi, pena una quarantena obbligatoria e senza eccezioni al loro arrivo, ai punti d’ingresso. A questo proposito ricordo che la quarantena in Eritrea non è di due, ma di tre settimane. Il Governo eritreo, per questo, ha anche ricevuto critiche offensive e del tutto fuori luogo come, ad esempio, quelle da parte di una certa Rossana Di Bianco della UIL Scuola per l’Africa.
Secondo la sindacalista, il Governo eritreo non avrebbe avuto alcun motivo di mettere in quarantena i sei insegnanti della Scuola Italiana di Asmara che, a differenza di molti altri loro colleghi saliti in Italia per le festività natalizie e lì rimasti, hanno comunque voluto raggiungere Asmara, ignorando volutamente la diffida delle autorità eritree e la tempestiva informativa diramata dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI).
Tra i tanti provvedimenti del Governo si può citare l’ordine tassativo di rimanere in casa, la chiusura di luoghi di lavoro, sia governativi che privati, con stipendi garantiti, l’interruzione delle scuole di ogni grado, la limitazione di spostamenti non autorizzati con qualsiasi mezzo da un luogo ad un altro, il blocco totale degli ingressi via terra, mare ed aria, la messa a disposizione del pubblico H24 di una “free hot line” gratuita per la segnalazione di eventuali contagi e così via.
In secondo luogo, va detto che la risposta della popolazione è stata sorprendente e ben oltre le aspettative delle autorità. E ciò non solo in termini di presa di coscienza della gravità della situazione, di disciplina e di responsabilità, ma anche per quanto riguarda la raccolta di fondi all’interno del Paese e tra le comunità eritree alla Diaspora. Si può dire che l’intera popolazione si è immediatamente data da fare, mobilitandosi in sostegno del Ministero della Sanità e delle fasce più vulnerabili della nostra società.
Mi inorgoglisce il fatto che, ovunque fossero, gli eritrei si sono prodigati per la raccolta di generi alimentari e di altro materiale utile, prontamente distribuiti anche nei villaggi più sperduti. La mobilitazione si è concretizzata anche nella messa a disposizione da parte di privati cittadini di alberghi ed altre strutture da adibire per eventuali necessità di quarantene in tutto il territorio, nel non esigere pagamenti di canoni di affitto per le famiglie in difficoltà finché l’emergenza non sarà finita, nell’assistenza ai soggetti svantaggiati, ai disabili, agli anziani e alle persone sole e bisognose.
Va riconosciuto che qualsiasi misura presa dal Governo non avrebbe avuto il successo che ha avuto senza una così massiccia, sentita e responsabile partecipazione di tutta la popolazione eritrea, sia all’interno del Paese che all’estero.

La malattia scatenata dal SARS-CoV-2, come purtroppo abbiamo appreso negli ultimi mesi, può essere letale soprattutto per pazienti anziani o immunodepressi. L’Eritrea, come tutta l’Africa, ha una popolazione molto giovane, con una quota al di sopra dei 65 anni molto ridotta. Indubbiamente, questo fattore può aver contribuito ad evitare l’insorgenza di focolai estesi ed il manifestarsi di gravi sintomi diffusi tra la popolazione. Eppure, il bassissimo dato del contagio ci dice anche che gli anziani del Paese sono stati fin’ora ben protetti dalle autorità. Come avete tutelato le categorie a rischio?
Certamente, la popolazione eritrea è una tra le più giovani al mondo. Il primo caso di contagio rilevato nel Paese il 21 marzo è stato quello di un giovane eritreo di 29 anni arrivato a far visita alla famiglia, via Dubai, dalla Norvegia, dove risiede stabilmente. D’altronde, sappiamo anche che l’età media dei contagiati è piuttosto bassa.
Tuttavia, senza nulla togliere al grande sforzo che stanno compiendo le autorità eritree per proteggere la popolazione in generale e le categorie più esposte e più a rischio come, appunto, gli anziani in particolare, non sono in grado al momento di dire se questo fattore può aver contribuito o meno a contenere al minimo i contagi in Eritrea. Ce lo potranno dire gli scienziati e gli esperti del settore. Credo sia giusto e doveroso aspettare di conoscere il loro punto di vista.

Le conseguenze economiche di questa pandemia saranno piuttosto pesanti un po’ ovunque nel mondo. Anche Asmara, nonostante i suoi tanti progetti per il futuro, dovrà rivedere necessariamente qualcosa per quest’anno drammatico, che aveva già riservato guai alla regione del Corno d’Africa, presa d’assalto pochi mesi fa da sciami di locuste. Il governo eritreo ha già elaborato un piano di ripresa per il Paese e per la regione? Cosa è emerso dall’incontro tra il presidente Isaias Afewerki ed il primo ministro etiopico Abiy Ahmed, svoltosi lo scorso 3 maggio ad Addis Abeba?
Che le conseguenze di questa grave pandemia saranno molto pesanti per tutti ce lo conferma già la situazione di disagio che stiamo vivendo in questi mesi. Le economie di tutti i Paesi del mondo avvertono già i sintomi di quello che avremo nell’immediato futuro. Ciò vale naturalmente anche per le economie dei Paesi del Corno d’Africa, come l’Eritrea, di per se già deboli. Penso che, di conseguenza, il nostro Governo dovrà necessariamente rivedere i programmi di sviluppo elaborati per l’anno in corso.
In un breve messaggio rivolto alla popolazione e trasmesso alla televisione nazionale circa un mese fa, riconoscendo che siamo, come del resto tutti i Paesi del mondo, in una congiuntura particolarmente difficile e che questa comunque deve essere per forza superata, il Presidente Isaias Afwerki si è raccomandato a tutti gli eritrei esortandoli a non mollare, a tenere duro e a continuare a lavorare come e più di prima per superare la situazione attuale e per portare a termine i programmi in fase di attuazione. Sono convinto che il suo messaggio sia stato ben recepito.
Veniamo alle locuste. Com’è noto, foltissimi sciami hanno a più riprese infestato i Paesi del Corno d’Africa e contigui (Eritrea, Etiopia, Sudan, Somalia, Kenya ed altri), nonché quelli della sponda orientale del Mar Rosso (Yemen ed Arabia Saudita). Per ben due volte, l’Eritrea è stata in grado di affrontare da sola l’emergenza dovuta alle cavallette arrivate dai Paesi limitrofi. Lo ha fatto per la prima volta a novembre dello scorso anno e lo ha fatto ancora a febbraio e a marzo di quest’anno, scongiurando così danni che sarebbero stati davvero devastanti per l’agricoltura ed il bestiame, da cui dipende il sostentamento del 60-65% della popolazione.
Le locuste, si sa, sono insetti estremamente prolifici e voraci. Ogni locusta consuma ogni giorno quantità di cibo equivalenti al suo peso. Sono capaci di triturare anche rametti duri, in mancanza di erba, colture e fogliame. Sono in grado di volare e percorrere lunghe distanze, più di 150 chilometri al giorno, facendo tabula rasa al loro passaggio da un Paese all’altro, a volte causando carestie di dimensioni bibliche. Per questa ragione, l’unico modo efficace di combatterle è quello di affrontarle in modo collettivo e coordinato, con un continuo scambio di informazioni sui loro spostamenti, anche con il sostegno degli organismi internazionali, come la FAO.
L’incontro bilaterale di due giorni che ha avuto luogo ad Addis Abeba all’inizio di maggio tra il Presidente Isaias Afwerki ed il Primo Ministro etiopico Abiy Ahmed ha affrontato proprio questa esigenza, la drammatica situazione dovuta all’epidemia da Covid-19 e, naturalmente, anche altre importanti questioni regionali di comune interesse. Per quanto riguarda i contenuti emersi dal loro colloquio sono spiacente di non avere al momento dettagli da poter condividere con i vostri lettori.

Come ricordava poc’anzi, va segnalato il lodevole comportamento delle comunità eritree nel mondo, che spesso in questi mesi hanno raccolto fondi non solo per il Paese d’origine ma anche per quelli in cui risiedono, come l’Italia, dove hanno deciso di donare sangue per gli ospedali. La presenza di queste realtà ben integrate all’estero ma al tempo stesso molto legate alle loro origini può costituire il volano di nuove e più concrete relazioni internazionali? Tra Asmara e Roma, soprattutto, c’è un passato comune molto intenso, di cui la Scuola Italiana della capitale eritrea è senz’altro il testimone più evidente. Cosa si potrebbe fare per rendere più dinamici gli scambi bilaterali?
La Diaspora eritrea presente in tutti i continenti è molto legata alle sue origini e, nello stesso tempo, costituisce un ponte tra l’Eritrea e i Paesi di residenza come nel caso dell’Italia, con la quale vi è un segmento di storia comune.
La stragrande maggioranza degli eritrei all’estero, compresi quelli della seconda generazione, sente molto da vicino i momenti di gioia come quelli di difficoltà del proprio Paese. È sempre stato così. Penso che questo sia un aspetto caratterizzante degli eritrei in modo particolare, ovunque essi si trovino e sono convinto che la Diaspora eritrea sia senz’altro una grande risorsa, non solo per il proprio Paese ma anche per quelli che ne ospitano le comunità.
La sua reazione di fronte al Covid-19 riflette quella della popolazione all’interno: senza aspettare appelli da parte delle autorità governative, gli eritrei all’estero hanno assunto autonomamente iniziative di raccolta fondi a sostegno delle strutture sanitarie sin dal momento in cui è stato scoperto il primo caso di contagio, riuscendo in pochi giorni a raccogliere somme non indifferenti. La campagna è tuttora in corso e vedremo i risultati definitivi a breve, tra qualche mese.
Cosa si potrebbe fare per rendere più dinamici gli scambi tra i nostri due Paesi? Secondo il mio modesto parere, la politica dovrebbe anzitutto comprendere ed apprezzare appieno l’importanza di questo legame storico-culturale, tuttora forte a livello delle persone comuni, come punto di partenza per costruire un’amicizia duratura e un proficuo rapporto di cooperazione allo sviluppo condiviso da entrambe le parti. Questo mi sembra fondamentale, la cosa più importante alla base di qualsiasi iniziativa, politica o economica che sia.
Un’iniziativa della Comunità eritrea in Italia – che Lei ha fatto molto bene a ricordare – è stata quella della donazione di sangue a favore di alcuni ospedali italiani (Roma, Milano, Bologna) in questo momento di difficoltà, che ha visto come principali protagonisti soprattutto i nostri giovani. Premetto che la Comunità eritrea in Italia si sente parte integrante della società in cui vive. La Comunità eritrea in Italia conta purtroppo anche sei decessi a causa del nuovo coronavirus e diversi casi di ricovero negli ospedali di alcune città italiane.
Penso che il gesto della donazione di sangue da parte della Comunità eritrea sia un atto dovuto. Penso che sia un atto dovuto nei confronti di un Paese e di un popolo amici, un gesto teso a rimarcare i legami storico-culturali di lunga data cui ho già accennato prima, a testimoniare il loro apprezzamento per lo spirito di accoglienza del popolo italiano nei loro confronti, anche in tempi non sospetti, nei lunghi e difficili anni della trentennale lotta del popolo eritreo per la sua libertà.




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