America Latina. Focus Cile 2016

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A cura di William Bavone
william.bavone@libero.it

Nome ufficiale: República de Chile
Lingua ufficiale: Spagnolo
Capitale: Santiago del Cile
Forma di governo: Repubblica presidenziale
Presidente in carica: Michelle Bachelet
Superficie: 756.096 km2
Popolazione: 17.948.141 ab.
Valuta: Peso cileno
PIL: 240,21 miliardi $
Agricoltura: 3,9%
Industria: 32,9%
Servizi: 63,2%
Export: 30,1%
Import: 30,3%
Tasso di crescita: 2,1%
Inflazione: 4,3%
Tempistica avvio business: 5,5 giorni


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SITUAZIONE POLITICA

Il Cile è forse la realtà più stabile dal punto di vista economico in tutto il Sudamerica. Santiago ha dalla sua una forte propensione al mercato e all’internazionalizzazione, un lascito contradditorio della dittatura di Augusto Pinochet (1973-1983). Il dittatore fu indicato quale massimo attuatore del Washington Consensus, ovvero un memorandum di politiche idoneo all’inserimento del Paese nel circuito del libero mercato. Si trattò di un’applicazione ferrea di politiche interne, intrisa di sangue e repressioni verso una popolazione comunque indomita malgrado l’avanzare dei soprusi.
Nel 1973, Pinochet, col sostegno della CIA, sostituì con la forza il leader socialista Salvador Allende, accusato di aver fatto del Paese del Cono Sud un “pericoloso” esperimento di politica alternativa al modello dominante secondo direttrici sgradite a Washington, che al tempo era impegnata nel braccio di ferro contro l’URSS. Per i freddi calcoli geopolitici di allora, il Paese divenne così teatro di una dittatura che per anni fece della violenza un deterrente efficace contro qualsiasi opposizione interna. Pinochet abbandonò il potere solo nel 1983, lasciando un’eredità pesantissima che ancora oggi divide l’opinione pubblica, un’eredità che va ben oltre le vittime del passato e che priva gravemente il Paese di un proprio futuro. Difatti, sebbene oggi il Cile abbia raggiunto la democrazia, essa si fonda ancora sulla Costituzione promulgata nel 1980, mantenendo, malgrado alcune riforme, il Paese in un assetto istituzionale, politico ed economico obsoleto e impopolare: una certezza non di poco conto per l’oligarchia che, nonostante il ritorno del Cile alla democrazia, ha comunque consolidato la propria posizione dominante grazie ad una serie di blocchi costituzionali alla mobilità sociale e alle pari opportunità nel mondo del lavoro e dell’impresa.
Parliamo nello specifico di vere e proprie barriere che impediscono agli strati sociali meno abbienti di accedere facilmente agli strumenti necessari al miglioramento della propria condizione. Quella cilena è dunque una piramide sociale rigidamente strutturata su strati impermeabili tra loro. Emblematica in questo senso è la situazione dell’istruzione. Oggi, infatti, chiunque voglia iscriversi all’università per ottenere risultati di prestigio non può prescindere dal godere di una posizione economica agiata alle spalle. A livello qualitativo vi è una marcata asimmetria tra istituti privati e pubblici. Mentre questi ultimi soffrono i bassi investimenti che lo Stato riserva loro, gli istituti privati sono agevolati e spesso strettamente connessi ad istituti creditizi. Questo sodalizio tra credito e istruzione obbliga le famiglie degli studenti meno abbienti ad indebitarsi per poter pagare gli studi ed una volta ultimato il percorso di laurea, i giovani si affacciano sul mondo del lavoro con una situazione debitoria già pesante. Diverso, invece, il caso per le famiglie facoltose che garantiscono ai propri figli i migliori percorsi formativi per un agevole inserimento nel mondo del lavoro. Si evidenza quindi un sistema a collo di bottiglia, che sin dal percorso formativo consente alla leadership di preservare la propria posizione di vantaggio.


PROSPETTIVE ECONOMICHE

L’attuale presidente Michelle Bachelet ha inteso finalmente dare vita ad un processo costituente che giungerà a pieno compimento soltanto nella prossima legislatura (2018-2022). Il lento iter tuttavia non soddisfa le esigenze di un Cile che ha bisogno impellente di una risposta nel presente.
Parliamo di un Paese in crescita (+2,1% nel 2016), accreditato quale mercato sudamericano più attrattivo per gli investitori esteri, ma occorre sempre andare oltre le statistiche generali per capire il reale stato di salute di una società che, nonostante certi fondamentali, nasconde una forte diseguaglianza nella redistribuzione delle risorse. Nel 2017 ci saranno le elezioni presidenziali e la Bachelet con ogni probabilità lascerà il suo posto, dopo aver deluso l’elettorato.
Sul piano delle relazioni internazionali, storicamente Santiago ha sempre voluto correre in solitaria nella propria affermazione, guardando con scetticismo a tutti i progetti di partenariato proposti dagli altri Paesi. La consapevolezza di essere un’economia ha fatto sì che la propensione alla leadership avesse costantemente la meglio sulla condivisione strategica. Unica eccezione è l’Alleanza del Pacifico, creata nel 2012 dalla comunità di intenti commerciali con Messico, Perù e Colombia. L’accordo ha una forte propensione all’ottimizzazione dell’interscambio commerciale con i mercati emergenti asiatici.
Sul piano regionale, invece, si evidenzia una relativa tranquillità fatta eccezione per i rapporti diplomatici con la Bolivia. La Paz, specie negli ultimi anni, sta portando avanti una dialettica antagonista a Santiago l’accesso al mare. La Bolivia, a causa di un conflitto sul finire del XIX secolo, dovette rinunciare ai territori costieri proprio a vantaggio del Cile, danneggiando ancora oggi la competitività di La Paz e consentendo, invece, a Santiago di mantenere il controllo su importanti risorse minerarie nel nord del Paese. Restano comunque in essere accordi di usufrutto portuario in favore della Bolivia, per garantirne l’esportazione passando dai porti cileni di Antofagasta, Iquique e Arica.
Il commercio estero cileno guarda con forza al mercato cinese dove riversa il 21% del proprio export, seguito dal mercato europeo (15,9%) e da quello statunitense (12%). Il Cile colloca gran parte del proprio valore produttivo nel settore minerario e, nella fattispecie, nel rame che da solo contribuisce per il 44% dell’export totale. Nel comparto agroalimentare, invece, Santiago si attesta quale ottimo fornitore di vino e uva che, aggregati, costituiscono il 4,9% dell’export. Importante anche il settore ittico, che nel complesso incide per circa il 10% sull’export.
In entrata, spiccano i prodotti ad alto contenuto tecnologico, seguiti dagli idrocarburi che nel complesso incidono per il 15,6% sulle importazioni. I principali mercati da cui il Cile importa beni e servizi sono Cina (21%) e Stati Uniti (20%). Tuttavia è interessante notare come il Cile cominci a guardare con più insistenza anche al mercato regionale per abbattere i costi seguendo il principio della prossimità dei mercati. Il solo Brasile fornisce il 7,7% dei beni importati assorbendo, di contro, il 5,3% dell’export cileno.

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OPPORTUNITÀ PER L’ITALIA

L’Italia ha dimostrato negli ultimi anni un grande interesse nell’interazione con i Paesi del Sudamerica e ovviamente, tra questi, il Cile. Se Buenos Aires rappresenta una nuova frontiera di mercato, il Cile costituisce – proprio per la sua già implementata struttura economica liberale – una solida certezza per gli investimenti esteri, nient’affatto turbati dall’alternanza al potere nella misura in cui la politica appare sostanzialmente incapace di intaccare una stabilità storica ormai consolidata.
Investire in Cile vuol dire avere una posizione strategica all’interno di un mercato altamente dinamico che sa far emergere sempre nuove opportunità, senza dover rinunciare alla certezza di mercati ben più consolidati, come quelli asiatici, che proprio grazie all’Alleanza del Pacifico e al riconoscimento internazionale di Santiago, diventano facilmente accessibili proprio dalle coste cilene.
Le importazioni tecnologiche e di veicoli denotano, inoltre, come il Paese sia molto interessato ad ampliare il proprio sviluppo industriale e quale migliore opportunità per ampliare quell’1,8% di importazioni cilene dall’Italia? La bilancia commerciale del Belpaese verso il Cile è negativa, dal momento che i nostri prodotti rappresentano soltanto il 2,1% dell’export cileno totale, pur avendo tutte le carte in regola per diventarne partner privilegiato in Europa.




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