Riprendono le interviste di Scenari Internazionali con alcune tra le più competitive realtà produttive del nostro Paese. Questa volta ci siamo concentrati sulla meccanizzazione agricola, un settore forse meno noto al grande pubblico ma, a dispetto di quanto si possa comunemente pensare, fortemente dinamico e saldamente al passo con l’innovazione e la digitalizzazione. Per saperne di più abbiamo contattato Antonio Salvaterra, Direttore Marketing di Argo Tractors, proprietaria dei marchi Landini, McCormick e Valpadana con sede a Fabbrico (RE), nel cuore della Motor Valley emiliana.
A cura della Redazione
Dr. Salvaterra, benvenuto su Scenari Internazionali. Negli ultimi giorni, Argo Tractors ha inaugurato lo strumento di e-commerce ricambi, tramite i portali web dei propri marchi Landini e McCormick verso il mercato italiano. Di cosa si tratta esattamente? Questa novità si innesta in un più ampio processo di innovazione del modello di business?
Il nostro mondo è molto legato a quello dell’automotive, in cui prevalgono negli ultimi anni i servizi alla clientela. Dal punto di vista dell’offerta è dunque nostro compito garantire, assieme al prodotto trattore, tutta una serie di servizi accessori pre e post vendita. Per il “pre” mi riferisco alla parte informativa e finanziaria, mentre per il “post” parliamo di assistenza tecnica, manutenzione e servizio ricambi: bisogna garantire la rapidità e la tempestività del servizio perché la campagna ha, come noto, tempi piuttosto contingentati e non può aspettare.
La nostra azienda, dunque, si sta sempre più specializzando nell’offerta di strumenti a favore dell’agricoltura nelle diverse fasi di pianificazione, manutenzione programmata ed estensione di garanzia, dove rispondiamo alle esigenze puntuali dell’imprenditore agricolo. In questo senso oggi è fondamentale uscire dal concetto “bucolico” di agricoltura per spostarsi all’intero di una dimensione pienamente industriale, in cui diventa decisiva la gestione efficiente ed ottimale del parco macchine o del campo stesso attraverso un servizio di field managament che permette al gestore, grazie alla geolocalizzazione, di monitorare a distanza tramite computer i trattori operativi sul campo, verificare la superficie di terreno lavorata, raccogliere informazioni, come il consumo medio orario e totale del carburante, le superfici di parcelle lavorate, giorni ed ore di utilizzo del trattore, in modo da prevedere in quale momento il mezzo dovrà fare manutenzione. Tutto ciò rientra appieno nelle logiche dell’Industria 4.0, come per gli altri settori.
La realizzazione di un trattore è un processo complesso e dettagliato, dove il know-how tecnologico esteso all’intera filiera gioca ormai un ruolo decisivo. I trattori vengono interamente realizzati nei vostri stabilimenti?
La nostra peculiarità è quella di affiancare al ciclo produttivo trattore, ottimizzato con controllo di qualità, la verticalizzazione del processo per garantire la qualità di tutta la filiera: dalle lavorazioni dei componenti in ghisa delle trasmissioni, alla costruzione delle cabine e delle piattaforme, sino alle parti in acciaio di alberi e ingranaggi. Lo stesso brand McCormick, un tempo di proprietà di un nostro competitor, fu acquisito dall’attuale proprietà nel 2001. Tra il 2007 e al 2010 le produzioni all’estero sono state dismesse per poi ricondurre tutto alla produzione e al know-how degli stabilimenti italiani.
Oggi, il 65% del valore dei componenti del veicolo è realizzato internamente, ovvero nei tre stabilimenti, tutti in provincia di Reggio Emilia, dai quali escono i nostri trattori, suddivisi in circa 45 famiglie-prodotto per 950 modelli, che servono 100 Paesi nel mondo grazie ad una rete di 2.500 concessionarie, 130 importatori e 8 filiali commerciali. Tutto questo caratterizza un gruppo che oggi conta circa 1.600 dipendenti e fattura intorno ai 500 milioni di euro l’anno.
Dal 2010, Argo Tractors è ormai esclusivamente focalizzata sui trattori. La rete di distribuzione e la clientela apprezzano il fatto che siamo concentrati sul fare bene una cosa: i trattori. Abbiamo una gamma che spazia da 23 a 310 cv di potenza e siamo l’unica azienda italiana a produrre sul suolo nazionale trattori di oltre 200 cv di potenza, confermando al contempo la forza di un marchio come Landini, attivo dal 1884 ed orgogliosamente annoverato nel registro delle imprese storiche italiane.
Considerando la forte presenza all’estero del gruppo, quali sono i principali mercati di export per i vostri prodotti? Quali sono i punti di forza che vi rendono competitivi anche in mercati molto concorrenziali?
Il fatturato si sviluppa per il 16% nel mercato domestico, mentre il restante 84% interessa l’estero. Più nel dettaglio, il 60% del nostro giro d’affari si concentra in Europa, il 12% nelle Americhe e il 22% in Africa, dove l’agricoltura si svilupperà fortemente nei prossimi anni. In Tunisia, ad esempio, un trattore su due è di nostra produzione mentre in Sudafrica, dove abbiamo una filiale da molti anni, siamo al primo o al secondo posto in molte fasce di prodotto. Infine, il 6% nel resto del mondo. Anche in mercati maturi, come Francia, Germania, Spagna e Portogallo, vantiamo una presenza molto importante. Nell’Est Europa c’è una maggiore presenza del brand McCormick, presenza che diventa esclusiva in America.
Abbiamo la fortuna di lavorare in quella che potremmo definire la Tractor Valley emiliana, cioè un distretto della meccanizzazione agricola con oltre un secolo di storia, cui si sono aggiunte l’elettronica e l’informatica, tanto che oggi si parla di distretto della meccatronica, permettendoci di accedere a competenze, conoscenze e tecnologie, oltre alla passione che permea l’imprenditoria emiliana nell’ambito dei motori: un patrimonio di conoscenze ed un tessuto distrettuale difficilmente riproducibili all’estero, che ci distinguono nel mondo anche rispetto ai competitor stranieri più quotati.
Per lo sviluppo della parte più meccatronica, di field management, telediagnosi e telemetria ci possiamo avvalere di conoscenze e competenze sul lato accademico, grazie a corsi universitari o corsi di diploma specialistici che trovano sede in Emilia-Romagna e si legano all’offerta lavorativa dell’industria a livello regionale. Sono attive in particolare relazioni di collaborazione con l’Università di Modena e Reggio Emilia (UNIMORE) o l’Alma Mater Studiorum di Bologna sia da un punto di vista tecnico sia di marketing, ad esempio come caso di studio del fenomeno reshoring, cioè di aziende che hanno riportato, del tutto o in parte, la produzione in Italia. Se l’offshoring rientra infatti essenzialmente nella tattica industriale, il reshoring si configura invece come una vera e propria strategia nel quadro della valorizzazione del Made in Italy e del concetto di distretto. Ci piace pensare che ci sia un valore del Made in Emilia-Romagna che possa essere esportato e apprezzato anche all’estero ed i risultati raggiunti ci stanno dando ragione.
L’emergenza Covid-19 ha avuto e sta ancora avendo un impatto molto pesante sull’economia del nostro Paese. Nel vostro caso che riscontro avete avuto? Gli eventi digitali sono riusciti a sopperire all’esperienza in presenza?
L’impatto del Covid-19 è stato ovviamente importante all’inizio dello scorso anno a causa della confusione che si era creata attorno ai codici ATECO. La produzione ha dovuto interrompere l’attività per quasi due mesi. L’incertezza e la diversità con cui il mondo industriale italiano è stato trattato, anche rispetto agli altri Paesi europei, hanno comportato un costo pesante, creando una disparità competitiva notevole. Tuttavia, siamo riusciti a mantenere aperti e funzionanti tutti i servizi di assistenza tecnica e ricambio perché, come detto in precedenza, la campagna ha dei tempi obbligati.
In quella prima fase di smarrimento collettivo abbiamo attivato tutti i protocolli sanitari previsti per la sicurezza dei dipendenti, che sarebbero di lì a breve rientrati al lavoro. Abbiamo addirittura istituito e formalizzato la sanificazione utilizzando un trattore che, tutt’ora periodicamente, gira all’interno degli stabilimenti con un atomizzatore per sanificare le linee di assemblaggio. Il mercato ha reagito molto bene nella seconda parte dell’anno specie perché la filiera agroalimentare, cui siamo legati, ha sempre continuato la propria attività permettendoci di ritrovare subito un portafoglio ordini di dimensioni piuttosto importanti. Questo ci aiuta a guardare con ottimismo nel medio-lungo orizzonte.
Lo scorso anno abbiamo partecipato ad EIMA Digital Preview, svoltasi interamente in digitale tra l’11 e il 15 novembre, ed ora ci stiamo preparando in vista della prossima edizione di EIMA International, in programma a Bologna per il 19-23 ottobre 2021, dove speriamo di poter tornare alla modalità fisica. Abbiamo potuto senz’altro apprezzare parte dell’offerta digitale, soprattutto quella dei webinar e dei convegni on-line, ma l’esperienza di toccare con mano il prodotto e di salire su un trattore, nonché lo stesso rapporto umano con la clientela, difficilmente possono essere sostituiti dal digitale. C’è poi Agritechnica, in programma per il mese di novembre a Hannover, in Germania, oltre ad un appuntamento in esterna previsto per giugno, con l’auspicio di poter tornare a fare prove in campo, pur sempre in osservanza delle disposizioni vigenti in materia di sicurezza sanitaria.
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