MILANO – Sull’economia mondiale soffiano forti venti contrari: tensioni commerciali e geopolitiche, condizioni finanziarie più restrittive per i Paesi emergenti, incertezze in Europa. Le prospettive di crescita si fanno più incerte a fronte di una maggior divergenza tra i Paesi.
Mercati emergenti sotto pressione
Da inizio anno, i Paesi emergenti sentono la pressione dei mercati finanziari. L’aumento dei tassi d’interesse statunitensi, il rally del dollaro, la guerra commerciale, le tensioni politiche e le sanzioni sono alcuni dei motivi che hanno portato a una rivalutazione del rischio dei Paesi emergenti. «Non a caso i più colpiti sono stati i Paesi maggiormente dipendenti dal resto del mondo per il loro finanziamento, soprattutto Argentina e Turchia», osserva Anton Brender, Chief Economist di Candriam. Queste pressioni si sono gradualmente estese ad altri Paesi emergenti. La rivalutazione del rischio, che ha reso necessario un riequilibrio delle partite correnti per i Paesi più vulnerabili, rallenterà la loro crescita. Tuttavia, la crescita globale non dovrebbe risentirne in misura eccessiva perché, come sottolinea Anton Brender, «le economie interessate sono relativamente piccole».
Nonostante la tregua raggiunta a Buenos Aires, la guerra commerciale rappresenta al momento la minaccia più seria per l’economia globale. L’aumento dei dazi doganali deciso dagli Stati Uniti non ha precedenti nella storia del dopoguerra. Se l’incremento dei dazi dovesse interessare tutte le importazioni cinesi e dovesse estendersi al settore dell’automotive, il livello medio dei dazi doganali americani sarebbe vicino a quello degli anni Trenta. Un risvolto di questo tipo sarebbe chiaramente un pericolo per la crescita mondiale. Lo stravolgimento delle catene produttive mondiali, nelle quali la Cina svolge un ruolo centrale, finirebbe per colpire anche i Paesi più sviluppati.
Stati Uniti: verso l’espansione più lunga dal dopoguerra
Nonostante i venti contrari l’economia statunitense – spinta soprattutto dalle spese delle famiglie – resta dinamica. L’apprezzamento del dollaro e il peggioramento delle prospettive globali di crescita peseranno naturalmente sulle esportazioni americane, mentre sugli investimenti residenziali si fa già sentire l’aumento dei tassi d’interesse. Tuttavia, la forte creazione di posti di lavoro e il graduale aumento dei salari continueranno comunque a sostenere i consumi, garantendo una crescita attorno al 2,5% nel 2019. Con un Congresso diviso, i prossimi nodi sul bilancio – il voto sul bilancio del 2019, l’innalzamento del tetto del debito e l’aumento del massimale sulle spese discrezionali (“fiscal cliff”) – sono ancora una volta fonte d’incertezza. La Federal Reserve dovrebbe comunque assicurare il soft landing di un’economia il cui tasso di disoccupazione è vicino ai minimi storici ed in cui tra le imprese si fanno strada segnali di fragilità finanziaria.
Eurozona: tra tensioni commerciali e incertezze politiche
Nel terzo trimestre la crescita della zona euro ha chiaramente rallentato a causa di motivi contingenti legati alle difficoltà nel settore automobilistico, al rincaro dei prezzi dei carburanti e alla forte contrazione delle esportazioni verso la Turchia. Nei prossimi mesi, comunque, il calo del prezzo del petrolio dovrebbe permettere alle famiglie di recuperare potere d’acquisto e l’attività del settore automobilistico dovrebbe tornare alla normalità. In media nel 2019, la crescita dovrebbe attestarsi attorno all’1,5%.
Secondo Florence Pisani, Global Head of Economic Research di Candriam, «i prossimi mesi continueranno a essere scanditi dai negoziati sulla Brexit e dal braccio di ferro tra il governo italiano e la Commissione europea». In un’ottica di più lungo termine, le divergenze di crescita intraregionale serviranno a ricordare che, per dirla con le parole di Jacques Delors, l’UEM è “zoppa”: «Abbiamo realizzato l’unione monetaria […] ma abbiamo trascurato l’integrazione economica pensando che l’una avrebbe naturalmente condotto all’altra», osserva Florence Pisani.
Fonte: Verini & Associati