Cinque leader sugli scudi nel caotico 2022, le loro economie potrebbero resistere meglio alla bufera

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Alla fine del 2020, proprio su queste pagine digitali, stilammo una top-5 dei leader da noi ritenuti particolarmente abili ad affrontare l’emergenza sanitaria e porre le basi per ripartire l’anno successivo. Se il 2021 aveva impresso una spinta generalizzata alla ripresa dopo la pandemia, le conseguenze dello scontro NATO-Russia hanno vanificato molti degli sforzi compiuti. Non ovunque, o per lo meno non dappertutto allo stesso modo. Abbiamo così pensato di riproporre una nuova top-5 relativa a questo caotico 2022.


A cura della Redazione


Lo scoppio della guerra in Ucraina, lo scorso 24 febbraio, ha riportato il confronto militare sul suolo europeo a quasi trent’anni di distanza dalle guerre interetniche nell’ex Jugoslavia e la durissima riposta di Stati Uniti e Unione Europea all’invasione decisa da Vladimir Putin ha oggettivamente contribuito ad esacerbare e prolungare un conflitto che appare ancora difficilmente risolvibile, almeno nel breve termine.

Unitamente alla scelta di Washington e Bruxelles di adottare pesanti pacchetti di sanzioni contro Mosca ed inviare miliardi di dollari in prestiti e armamenti, anche letali, all’esercito ucraino, l’improvvisa riduzione delle importazioni di materie prime e prodotti energetici dalla Russia ha sconvolto l’intera catena di approvvigionamento energetico europea. Il Vecchio Continente ha dovuto così fare i conti con un aumento-record dell’inflazione, trainato proprio dai rincari dell’energia.

La guerra in Ucraina ha inoltre compromesso – e potrebbe continuare a mettere a rischio – la sicurezza alimentare globale. Le navi cargo cariche di grano, attraccate ai moli dei porti ucraini, sono rimaste ferme per mesi a causa delle ostilità e soltanto l’intervento dell’ONU, coadiuvato in particolare dall’attivismo diplomatico della Turchia, ha consentito di sbloccare la situazione evitando che i Paesi importatori più poveri, a partire da quelli del Corno d’Africa, piombassero in un drammatico scenario di carestia.

Al conflitto tra Mosca e Kiev, Scenari Internazionali ha interamente dedicato il secondo numero trimestrale (Aprile-Giugno) di quest’anno. Di fronte all’approssimazione e all’ideologismo con cui una parte consistente della politica e dell’opinione pubblica si è approcciata al tema, ritenevamo necessario che il pubblico italiano fosse informato, con dovizia di dati e particolari, dei gravi rischi che stavano incombendo in quella fase e che incomberanno ancor più gravemente nel 2023 sul nostro Paese e sull’intera Europa, riassumibili in un’unica, spaventosa, parola: stagflazione.

A distanza di sei mesi continuiamo a ripetere che è urgente abbandonare pericolosi idealismi fuori dal tempo e tornare a ragionare secondo i criteri della realpolitik. È nell’interesse di tutti che le ostilità cessino quanto prima e che le ragioni delle parti belligeranti vengano discusse ad un tavolo negoziale, sotto l’egida dell’ONU, eventualmente allargato ai principali attori regionali e internazionali, a partire da Stati Uniti, Unione Europea, Cina, India e Turchia.

Nel 2023, per altro, Pechino e Nuova Delhi torneranno presumibilmente a guidare la crescita globale, a fronte delle debolissime performance previste in molte delle economie più avanzate. In particolare, la Cina dovrebbe ritrovare pieno dinamismo dalla recente rimozione della politica zero-Covid, che nel 2022 ha considerevolmente rallentato i consumi interni, principale motore di crescita del Paese, costringendo l’economia del Dragone al di sotto dell’obiettivo fissato ad inizio anno.

In questa complessa congiuntura, i governi nel mondo – ancora impegnati a tenere sotto controllo, in diverse modalità da nazione a nazione, le possibili recrudescenze pandemiche – sono dovuti correre ai ripari. Se il Covid aveva messo in luce la necessità di rendere più sicure e stabili le catene logistiche, la guerra ha aumentato la consapevolezza dell’importanza di garantirsi per lo meno una buona quota di autonomia energetica ed alimentare. Questo non significa certo dover tornare al passato o sconvolgere i consumi. Tutt’altro: già da tempo, infatti, le tecnologie digitali hanno mostrato di poter migliorare i processi di produzione agroalimentare, i meccanismi di efficientamento/risparmio energetico e la logistica.

Una concreta pianificazione delle priorità di politica industriale, gli incentivi all’innovazione, la defiscalizzazione per le giovani imprese, in particolare per quelle attive nei settori emergenti, la semplificazione degli obblighi amministrativi, lo sviluppo di moderne infrastrutture fisiche e digitali: questi, tra gli altri, i principali compiti che i governi sono chiamati a svolgere per approntare una solida e definitiva ripresa entro i prossimi due anni.

Partendo da tali criteri, esattamente come due anni fa, abbiamo selezionato cinque leader di altrettanti Paesi che, a nostro avviso, si sono resti protagonisti in questo 2022 affrontando al meglio delle proprie possibilità non solo l’emergenza globale ma anche particolari sfide interne. Chiaramente si tratta di una valutazione generale, non di una classifica, che avrebbe ben poco senso considerando la differenza tra i rispettivi contesti. L’ordine di presentazione è dunque esclusivamente alfabetico, in base all’/alle iniziale/i del cognome.




Recep Tayyip Erdoğan
Se c’è un leader che ha cercato con tutte le proprie forze una soluzione negoziale al conflitto russo-ucraino, questi è senza dubbio il presidente turco. Sebbene la guerra prosegua, l’opera di mediazione tentata da Erdoğan a stretto contatto col suo ministro Mevlüt Çavuşoğlu non è stata vana, a cominciare dal successo ottenuto nella trattativa per sbloccare le navi di grano ferme nei porti ucraini. È solo l’ultima di una serie di iniziative che vedono la Turchia impegnata ad acquisire un crescente ruolo pro-attivo in numerosi contesti regionali: dal Mar Nero al Caucaso, dai Balcani all’Asia Centrale, passando per l’Africa. Nonostante la grave ondata inflazionistica, cominciata nel 2021 ma già oggi in graduale diminuzione, lo scorso anno Ankara è cresciuta dell’11% dopo un 2020 in territorio positivo (+1,8%), e dovrebbe registrare un +5,4% per quest’anno [OCSE], confermandosi al primo posto nel G20. Tra i fattori di sviluppo giocano un ruolo decisivo le grandi infrastrutture pensate per dare vita al Corridoio Mediano, progetto logistico di portata intercontinentale. Altra ipotesi a cui si sta lavorando è che in un futuro non lontano la Turchia possa diventare un hub internazionale del gas, prospettiva allettante per il governo, che consegnerebbe alle future generazioni una vera e propria potenza di livello mondiale.


Micheál Martin
Non c’è dubbio che nell’Eurozona il periodo 2021-2022 sarà ricordato come il biennio dell’Irlanda. Dopo la crescita-record (+13,5%) dello scorso anno, nel 2022 Dublino dovrebbe sfondare senza problemi quota 10% [OCSE]. L’elevata capacità di attrarre investimenti esteri è tradizionalmente sostenuta da un regime fiscale vantaggioso, che ha portato nel Paese numerose multinazionali straniere, soprattutto statunitensi. Eppure, le ragioni del successo irlandese risiedono anche in una politica di forte stimolo a PMI e start-up locali. I provvedimenti anti-Covid adottati dall’ormai ex primo ministro Micheál Martin hanno messo in campo 45 miliardi di euro, di cui 20 miliardi direttamente in favore di lavoratori ed imprese. Prima di essere sostituito dall’alleato Leo Varadkar lo scorso 17 dicembre, il governo Martin ha lasciato una situazione molto solida anche per quanto riguarda la bilancia dei pagamenti, con le esportazioni che dovrebbero chiudere l’anno in aumento del 15,6% rispetto al 2021 [World’s Top Export]: i primi cinque mercati di destinazione – Stati Uniti (30,8% dell’export totale), Regno Unito (11,1%), Germania (11%), Belgio (8,4%) e Cina continentale (6,8%) – evidenziano la crescente internazionalizzazione del sistema Paese.


Nguyễn Phú Trọng
I “pilastri” del sistema politico vietnamita sono quattro ma Nguyễn Phú Trọng è, di fatto, il leader di un Paese che sembra inarrestabile. Cresciuto del 2,9% nel 2020, ha rallentato lo scorso anno (+2,6%) a causa di forti recrudescenze pandemiche, per tornare definitivamente ai livelli pre-Covid in questo 2022, con una crescita recentemente rivista al rialzo dall’ADB, che stima un dato del 7,5%, sostenuto da precisi fattori: crescita dei consumi interni, con le vendite al dettaglio aumentate ad ottobre del 17% su base annua; l’incremento dell’export, in aumento nei primi nove mesi del 17,3% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente; la buona performance degli investimenti diretti esteri, con 2.036 nuovi progetti per un volume annuale pari a 27,72 miliardi di dollari; la ripartenza del turismo che, dopo un problematico 2021, ha visto il Paese tornare a popolarsi di visitatori stranieri, con 2,4 milioni di arrivi internazionali tra gennaio e ottobre scorsi [Dezan Shira & Associates]. Certo, quest’ultimo dato è ancora molto lontano dai 18 milioni registrati nel 2019, ultimo anno pre-Covid, ma i consistenti margini di recupero saranno per Hanoi una carta da giocare in un 2023 che comunque presenterà sfide e criticità.


Kassim-Jomart Tokayev
Pandemia a parte, le difficoltà in Kazakhstan sono emerse già a gennaio. Tutto era cominciato da iniziative di protesta contro il carovita nelle città di Almaty e Zhanaozen, non nuova a questo genere di episodi, poi degenerate. In Asia Centrale, solitamente il clima politico gode di prolungati periodi di stabilità improvvisamente sconvolti da tensioni o conflitti sociali. L’ultima crisi, però, è stata talmente pesante che, per sedare le rivolte, il governo ha richiesto, per la prima volta in vent’anni, l’intervento della CSTO, l’alleanza militare sorta nel 2002 su iniziativa di Mosca. Contestualmente, il presidente Tokayev ha accelerato le riforme per venire incontro alle rivendicazioni di chi aveva protestato pacificamente. Dopo la ripresa nel 2021 (+4%), quest’anno l’economia dovrebbe crescere del 2,8% [EDB] nonostante la recessione che colpirà Russia e Bielorussia, i due principali mercati di riferimento per Astana nel quadro dell’Unione Economica Eurasiatica. Il 2023 sarà decisivo per implementare i dieci progetti nazionali adottati nel 2021, chiamati a riformare ambiti importanti: sanità, istruzione, innovazione tecnologica, sviluppo dell’imprenditorialità, sviluppo regionale, crescita economica sostenibile, sviluppo green, complesso agro-industriale e sicurezza nazionale.


Joko Widodo
Paese ospitante del G20 in un anno difficilissimo per le relazioni internazionali, l’Indonesia e la sua suggestiva isola di Bali sono stati la più che degna cornice organizzativa di un sostanziale successo diplomatico. Dopo una recessione piuttosto contenuta nel 2020 (-2,1%) ed una prima ripresa nel 2021 (3,7%), il Paese asiatico si prepara a chiudere il 2022 consolidando la propria crescita (+5,2%). Secondo la Banca Mondiale, il risultato è frutto delle riaperture post-Covid ed apre prospettive confortanti anche per il triennio 2023-2025. Sebbene si sia fatta sentire, l’inflazione dovrebbe gradualmente scendere nel 2023 per assestarsi mediamente attorno al 3,5% nel 2024 e nel 2025. Il commercio estero sta praticamente volando grazie ai rincari delle materie prime a livello globale, che nel periodo gennaio-novembre 2022 hanno permesso al valore dell’export indonesiano di crescere del 28,2% su base annua per un totale pari a 268,2 miliardi di dollari, accumulando un surplus-record di 50,6 miliardi di dollari: principali destinazioni Cina, Stati Uniti e Giappone, anche se il governo ha spinto per diversificare verso America Latina ed Africa. Nel 2023, tale favorevole congiuntura internazionale verrà meno ma potrebbe essere parzialmente compensata da una forte ripresa della Cina, con cui l’economia indonesiana è fortemente intrecciata.




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