Dove passano le merci: in uscita il nuovo numero di Scenari Internazionali sui conflitti risolti nel mondo

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Dopo la pausa estiva, Scenari Internazionali torna con un nuovo numero (lug-set 2019) dedicato ai conflitti risolti. A breve disponibile, Dove passano le merci, questo il titolo, nasce dalla volontà della Redazione di scattare, a distanza di anni, una fotografia dei contesti regionali che furono scenario di alcuni fra i più tragici scontri bellici del secolo scorso, dal Medio Oriente alla Penisola Coreana, dal Vietnam al Ruanda, passando per il Corno d’Africa.


A cura della Redazione


L’emblematico titolo della pubblicazione trae ispirazione dall’intenzione di sottolineare l’importanza del multilateralismo e del dialogo come veicolo di sviluppo sociale ed economico. Si aggiungono, nella rubrica Internazionalizzazione, due approfondimenti speciali, sul difficile processo di integrazione in America Latina e sulla svolta nella regione del Mar Caspio. L’uscita è infine impreziosita dalle interviste all’Ambasciatore tedesco Viktor Elbling, a trent’anni dalla caduta del Muro di Berlino, e all’Ambasciatore eritreo Fessahazion Pietros, ad un anno dall’accordo di pace fra Asmara e Addis Abeba.

La famosa citazione attribuita all’economista liberale francese Frederic Bastiat, secondo cui laddove non passano le merci passano invece gli eserciti, sembra tornare oggi di drammatica attualità. Al momento, la dimensione della guerra commerciale tiene il pianeta sospeso in un pericoloso limbo fra tensioni diplomatiche ed aperti conflitti. Quanto durerà questa fase? Quale piega potrebbe assumere se non si troverà una soluzione definitiva che metta tutti d’accordo?

Se non altro, il clima infuocato nel commercio internazionale ci ha fatto capire che è stato ormai oltrepassato un punto di non-ritorno. Sarà infatti impossibile continuare ad affidarsi ancora a lungo ad un sistema multilaterale del commercio basato su regole pensate tra la seconda metà degli anni Ottanta e la prima degli anni Novanta. Da più parti, ormai, si richiede una riforma generale dell’Organizzazione Mondiale per il Commercio (WTO).

La chiedono gli Stati Uniti, che vorrebbero ridurre o addirittura eliminare i Trattamenti Speciali e Differenziati per quei Paesi in via di sviluppo che Washington considera troppo «ricchi e avanzati» per poter ancora ritenersi tali. La chiede la Cina, che punta invece il dito contro l’abuso del ricorso alle ragioni di sicurezza nazionale come eccezione, contro l’utilizzo improprio o l’abuso delle misure correttive esistenti e contro le pratiche unilaterali, ritenute «gravemente dannose per un ordine commerciale internazionale libero, aperto e fondato su regole».

La chiede anche l’Europa, che ha trovato nel mese di aprile scorso una convergenza proprio con Pechino ed altri partner per rivedere insieme alcuni meccanismi internazionali, specie allo scopo di migliorare l’accesso al mercato e rafforzare le regole che disciplinano i sussidi statali alle imprese. Sarà il tempo a dirci se quest’ultima intesa è stata solo un passo verso un accordo bilaterale sul commercio e sugli investimenti, oppure trascinerà con sé un vasto numero di Paesi emergenti per far fronte all’unilateralismo statunitense e ridiscutere regole e meccanismi globali.

Se l’enunciato attribuito a Bastiat è vero, lo è per logica anche il suo contrario. Dove passano le merci, non passano gli eserciti. La storia dell’uomo è costellata di esempi in questo senso. Guerre atroci, civili o tra Stati, hanno lasciato il posto a processi di pacificazione capaci di coniugare gli interessi fra due o più nazioni, o fra diversi territori di uno stesso Paese, intrecciandosi a tal punto che l’idea stessa di riprendere le armi nemmeno sarebbe stata pensabile.

L’auspicio è che anche fra le grandi potenze questo spirito di dialogo possa prevalere, cercando un’armonizzazione dei diversi interessi in ballo. Non sarà semplice, perché i Paesi occidentali, protagonisti indiscussi degli ultimi due secoli di storia, non riescono ancora ad accettare pienamente le trasformazioni degli equilibri internazionali. La Cina e l’India, in particolare, rappresentano al tempo stesso due sfide e due opportunità. Le due potenze asiatiche insieme contano 2,77 miliardi di abitanti, un PIL di circa 16.400 miliardi di dollari ed un volume di commercio estero di beni e servizi pari a quasi 5.900 miliardi di dollari.

Tali cifre, da sole, danno l’idea dell’impatto che queste due economie hanno avuto ed avranno sul resto del mondo. Impossibile non sedersi con loro ad un tavolo per confrontarvisi alla pari. Impossibile non intuire che dietro di loro, o al loro fianco, ci sono almeno altre trenta economie emergenti intenzionate a recitare un ruolo da protagoniste da qui al 2030. Allora, dazi e sanzioni non serviranno a nulla, se non a isolarci dal resto del mondo.




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