Islanda. Le sorgenti calde garantiscono verdura tutto l’anno, e la gestione è smart

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di Thin Lei Win
[World Economic Forum & Thomson Reuters Foundation]



Per metà anno, la temperatura nei pressi della remota fattoria di Pall Olafsson in Islanda scende spesso al di sotto dello zero ed il sole a malapena riesce a fare capolino. Eppure, il calore e la luce delle sue serre permettono ad Olafsson di coltivare i suoi succosi pomodori e cetrioli persino in pieno inverno, in gran parte grazie a quell’energia geotermica da cui tra ispirazione il nomignolo del piccolo Paese nordatlantico, ovvero ‘Terra del Fuoco e del Ghiaccio’.

«Quando abbiamo cominciato ad utilizzare la luce e a coltivare tutto l’anno, molto è cambiato», dice Olafsson mentre i suoi dipendenti potano con cura le piante dietro di sé. «[Prima, nda] si raccoglievano gli ultimi pomodori a novembre per poi riprendere l’attività ad aprile. Circa vent’anni fa era così». Olafsson attribuisce il merito alle sorgenti calde che fuoriescono dalla terra non lontano da lì, trasformando Hveravellir in una delle più grandi fattorie vegetali dell’Islanda, capace di produrre circa 500 tonnellate all’anno fra pomodori, cetrioli e paprika.

L’origine vulcanica dell’Islanda ha donato ai suoi 350.000 abitanti abbondante energia geotermica, una fonte rinnovabile che, a differenza dell’energia solare o di quella eolica, non è condizionata dall’imprevedibilità del clima. L’energia geotermica fornisce un quarto dell’elettricità del Paese – che proviene comunque per intero da fonti rinnovabili – e ha contribuito ad aumentare la disponibilità permanente di cibo fresco negli ultimi vent’anni.


© Iceland National Energy Authority


L’acqua calda naturale viene convogliata per scaldare le serre, ma le sorgenti calde sono anche una fonte-chiave di energia per l’illuminazione artificiale che aiuta gli agricoltori a coltivare il grano persino in inverno, quando l’isola vede appena tre ore di luce al giorno. Gli agricoltori islandesi hanno cominciato a riscaldare artificialmente le loro serre circa vent’anni fa. Tuttavia, la vera svolta è arrivata con la tecnologia che gli consente di controllare ogni dettaglio da remoto, attraverso uno smartphone, secondo quanto afferma Knutur Ratn Armann, che gestisce la fattoria di pomodori Fridheimer con sua moglie Helena.

«Abbiamo un computer-guida in ogni serra, connesso alla nostra stazione meteorologica, che a sua volta è connessa al nostro computer centrale, che è connesso ad Internet», ha spiegato Armann, che ha aggiunto: «Così, ogni volta che vado da qualche parte ho sempre il mio iPhone con me e posso innaffiare le piante, aprire le finestre, cambiare le impostazioni o indirizzare qualunque cosa grazie al mio telefono cellulare».


Vulcano

Storicamente, l’Islanda importa molti beni alimentari ma il doppio smacco della crisi finanziaria del 2008 e l’eruzione vulcanica che impedì agli aerei di atterrare nel 2010 hanno stimolato una maggiore autosufficienza. Ora, almeno la metà dei pomodori e dei cetrioli venduti sono prodotti all’interno del Paese, ha sottolineato Gunnlaugur Karlsson, direttore generale di Solufelag Gardyrkjumanna (SFG), azienda che confeziona e commercia frutta e verdura. Egli ritiene che sia buon senso per un’isola lontana e a rischio calamità quello di produrre in proprio quanto più cibo possibile, senza contare il fatto che la produzione locale vende.

Quest’anno, SFG ha cominciato a lavorare con gli agricoltori per portare i prodotti negli asili, garantendo ai bambini un’alimentazione basata su cibi di origine locale e senza pesticidi. L’azienda sta facendo il possibile per incoraggiare la gente a comprare locale, ma molti ritengono che il governo potrebbe fare di più per dare una mano.

«Alle autorità non interessa se il cibo è importato oppure è prodotto sul territorio, così come se non è contaminato da agenti chimici nocivi ecc. …», sostiene Helgi Johannesson, un consulente agricolo. Un portavoce del Ministero per l’Industria e l’Innovazione islandese ha replicato, affermando che il governo sta lavorando ad una politica di fornitura di alimenti locali alle istituzioni governative.

Ad ogni modo, gli agricoltori ritengono che il governo potrebbe contribuire di più riservando loro tariffe calmierate per la fornitura dell’elettricità. Attualmente, soltanto lo 0,5% dell’energia complessiva del Paese è destinata agli agricoltori, che denunciano di dover pagare bollette più alte di quelle dell’industria dell’alluminio, ben più “famelica” di energia.

Il fornitore statale di energia Landsvirkjun non rende pubbliche le tariffe e il governo islandese non ha voluto commentare. «Spesso dico al governo che se decidessimo di utilizzare l’1% dell’elettricità per produrre buon cibo salutare per noi stessi, sarebbe grandioso – afferma Armann – ma ovviamente loro dovrebbero abbassare i prezzi agli agricoltori».


Traduzione a cura della Redazione
Fonte in lingua originale qui



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