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Proponiamo qui di seguito la traduzione in lingua italiana di un articolo di Fabio Massimo Parenti, originariamente pubblicato lo scorso 11 ottobre sull’edizione in lingua inglese del quotidiano cinese Global Times, con il titolo Italy shuns doubt to reach out to China. L’autore è professore associato (ASN), insegna all’Istituto Internazionale Lorenzo de’ Medici a Firenze, è membro del think tank CCERRI di Zhengzhou, e membro di EURISPES – Laboratorio BRICS, a Roma. Il suo ultimo libro è Geofinance and Geopolitics (Egea).
Per molti anni, l’approccio politico dell’Italia verso la Cina è stato aperto ma scettico, spesso ambiguo. Oggi sta cambiando radicalmente. Permettetemi di riassumere i punti principali di questa possibile transizione. L’Italia non ha riconosciuto lo status di economia di mercato alla Cina nel 2016 ed è stata in prima linea nelle crescenti critiche dell’UE, legate agli investimenti esteri cinesi, sostenendo la necessità di definire un regolamento per il loro controllo. Ciononostante, l’Italia ha sempre riconosciuto l’importanza dello sviluppo cinese e ha mostrato un enorme interesse per la Belt and Road Initiative (BRI).
Negli ultimi anni, l’Italia è diventata una delle principali destinazioni degli investimenti cinesi in Europa. Ad esempio, il Gruppo Cassa Depositi e Prestiti (CDP), la banca italiana di sviluppo, ha già costituito sinergie di successo con la Cina. Nel 2014, la State Grid of China ha acquistato il 35% di CDP RETI, che controlla le principali società italiane (Terna e Snam) nel settore della trasmissione di energia. Nello stesso anno, Shanghai Electric Corporation e Ansaldo Energia hanno firmato due accordi di joint venture.
Nel 2017, in occasione della visita di una delegazione governativa italiana a Pechino, CDP e China Development Bank hanno concordato di creare un nuovo strumento da €100 milioni che investirà nel capitale delle piccole e medie imprese italiane e cinesi. Questi sono solo alcuni esempi importanti del dinamismo degli investimenti cinesi negli ultimi anni. Non tutti gli accordi sono stati considerati economicamente sostenibili, ma nel complesso l’Italia ha guadagnato da questi flussi di capitali.
Il problema è che fino a pochi mesi fa il nostro Paese non ha elaborato un piano o una strategia coerente. Questo è il motivo principale per cui Michele Geraci [in foto, ndr], il nuovo sottosegretario al Ministero dello Sviluppo Economico con vasta conoscenza sulla Cina e sull’economia internazionale, ha recentemente affermato: «Siamo molto diversi dal precedente governo sulla Cina, e stiamo cercando di non ignorare la Cina come è stato fatto in passato». Il punto fondamentale risiede nella mancanza di una strategia nazionale, a lungo termine, per la Cina.
Non è possibile trarre il massimo vantaggio da questa relazione se non c’è un lavoro istituzionale costante per affrontare il potenziale della BRI, oppure per negoziare accordi di investimento e commerciali, senza definire priorità nazionali e così via. Ad esempio, l’attuale governo sarà più cauto nei confronti dei tentativi dell’UE di controllare gli investimenti dalla Cina (o altri Paesi extra-UE), dopo anni di critiche verso importanti acquisizioni cinesi di asset europei. Il governo ritiene che potremmo ottenere maggiori benefici da un approccio sistemico verso la Cina e i suoi progetti internazionali. Le nostre esportazioni verso la Cina stanno crescendo, anche perché le importazioni cinesi sono in un trend positivo che durerà a lungo. Dovremmo firmare accordi per penetrare ulteriormente i mercati di consumo cinesi, che sono in forte espansione.
Francia, Germania e Regno Unito sono progredite bene negli ultimi venti anni, ma l’Italia è rimasta indietro. Potremmo fare molto meglio. In effetti, il nuovo governo si sta muovendo velocemente. In poche settimane abbiamo avuto molte visite ufficiali di alto livello e i leader del nuovo governo italiano sono entrambi sulla stessa pagina per ciò che concerne l’interesse strategico nazionale verso la Cina. L’Italia ha il diritto e il potenziale per sfruttare meglio la sua posizione geografica nella BRI e offrire molti canali di cooperazione.
Per questi motivi, il Ministero dello Sviluppo Economico italiano ha istituito una task force sulla Cina con rappresentanti delle comunità nazionali economiche, culturali, finanziarie e politiche di entrambi i Paesi. L’obiettivo è quello di indagare su ciascun settore economico e su ciascuna questione di cooperazione bilaterale al fine di fare sistema. La task force considera i molteplici benefici che deriverebbero dal rafforzamento delle relazioni Cina-Italia: investimenti, commercio, finanza pubblica, occupazione, avanzamento tecnologico, cooperazione ecologica, sviluppo internazionale ecc. …
Riassumendo i principali obiettivi, il governo italiano si concentrerà su sei punti chiave: 1) promuovere l’ingresso di capitale strategico e investimenti diretti greenfield in Italia; 2) favorire gli investimenti cinesi in titoli di Stato e società private; 3) promuovere l’export italiano in Cina e del turismo cinese in Italia; 4) assistere le imprese italiane nel settore agro-alimentare; 5) facilitare l’espansione dell’economia verde in Cina e in Italia; 5) aiutare le aziende italiane a connettersi con i programmi di investimento cinesi finanziati dall’iniziativa Belt and Road; 6) potenziare i meccanismi di collaborazione scientifica e ricerca e sviluppo.
Non è un caso che durante le ultime visite, l’Italia abbia confermato l’intenzione di cooperare con la Cina nei Paesi terzi, come quelli del Continente africano. A tale riguardo, un protocollo d’intesa firmato durante l’ultima visita è già un risultato importante. Inoltre, alla fine dell’anno verrà firmato un altro MoU per coinvolgere pienamente l’Italia nella BRI, in modo che possa diventare il principale partner della Cina in Europa. Dobbiamo adattarci al mondo che cambia in modo costruttivo.
Traduzione a cura dell’autore
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