La vittoria di Trump alle presidenziali statunitensi di martedì scorso ha sconvolto il mondo. Se in Occidente è l’impatto strettamente politico del futuro nuovo inquilino della Casa Bianca a far discutere, in Asia le preoccupazioni sono essenzialmente legate alla sfera economica. Il timore che, con Trump alla guida, la Fed decida definitivamente di alzare i tassi di interesse e l’apprensione per la sempre più probabile stretta protezionistica annunciata in campagna elettorale dal nuovo presidente, pronto a far uscire – come paventato anche dalla stessa Hillary Clinton – gli Stati Uniti dal TPP (e non solo), hanno generato notevole instabilità sui mercati delle economie emergenti regionali, soprattutto quelle maggiormente dipendenti dal commercio internazionale. Se da un lato la Cina appare pronta a riempire il possibile vuoto americano nella regione Asia-Pacifico, lanciando entro breve il RCEP (l’accordo economico con Giappone, Corea del Sud, India, Asean, Australia e Nuova Zelanda), dall’altro i mercati asiatici nel frattempo subiscono perdite e ribassi a causa dell’incertezza che regna a Washington.
Qui di seguito, un’analisi pubblicata quest’oggi dal quotidiano di Singapore The Straits Times, alla luce delle chiusure registrate sulle principali piazze asiatiche nella giornata di ieri, primo venerdì borsistico del dopo-elezioni.
I mercati asiatici hanno patito forti crolli dei prezzi ieri [venerdì 11 novembre, ndt], mentre la crescente incertezza sull’impatto della presidenza Trump ha alimentato una volatilità cominciata con il risultato a sorpresa delle elezioni presidenziali statunitensi.
Un’ondata di volatilità valutaria ha addirittura gettato l’Asia nella paura che l’intenzione del presidente eletto Donald Trump di intensificare la spesa del governo statunitense possa far lievitare i tassi di interesse e portare a fughe di capitali dai mercati emergenti asiatici.
L’indice Hang Seng di Hong Kong è calato dell’1,35%, mentre l’indice di riferimento Straits Times di Singapore ha perso lo 0,69% attestandosi a quota 2.814,60 punti, sebbene ancora superiore alla quotazione di mercoledì scorso, giorno di conclusione dello spoglio elettorale americano. Le Filippine sono scese del 2,88%, l’indice FBM KLCI malesiano ha perso l’1,12% e il Composite di Jakarta è crollato del 4,01%. Il Nikkei 225 di Tokyo ha invertito la tendenza, guadagnando lo 0,18%, ma lo yen si indeboliva di fronte al rafforzamento del dollaro.
Anche le altre valute regionali hanno subito un duro colpo. La rupiah indonesiana ha perso oltre il 3% per il peggior dato degli ultimi cinque anni, spingendo la banca centrale ad intervenire, mentre il dollaro australiano è calato del 2% ed il ringgit malesiano ha perso più dell’1%.
Il biglietto verde si è rafforzato anche rispetto al dollario singaporiano. Un dollaro americano poteva essere acquistato a circa 1,409 dollari singaporiani, dagli 1,39 di mercoledì.
In un annuncio ufficiale nella giornata di ieri, l’Autorità Monetaria di Singapore ha affermato che l’impalcatura della sua politica garantisce sufficiente flessibilità per adattarsi alle fluttuazioni nei tassi di cambio bilaterali del dollaro singaporiano rispetto alle altre valute.
La banca centrale ha aggiunto che «è pronta a tenere a freno un’eccessiva volatilità» del dollaro singaporiano. In Malesia, mentre gli investitori vendevano le obbligazioni del governo, Bank Negara [la banca centrale, ndt] cercava di mantenere stabile il tasso di cambio corrente dissuadendo i venditori, come affermano alcuni media.
In Cina, mentre lo yuan annullava le perdite di giornata, circolava voce di un intervento della banca centrale, stando a Bloomberg.
Gli analisti hanno asserito che il dollaro forte è stato sostenuto dalle attese che i piani di Trump per vasti progetti di spesa possano far lievitare l’inflazione negli Stati Uniti. Come conseguenza, gli investitori stanno scommettendo sull’ipotesi che la Federal Reserve aumenterà i tassi di interesse in modo più aggressivo durante il prossimo anno, per tenere i prezzi sotto controllo.
I mercati sono verosimilmente preoccupati anche per la visione protezionista di Trump in tema di commercio globale, emersa durante la sua campagna elettorale. Se queste intenzioni fossero confermate, sarebbe un duro colpo per le economie asiatiche dipendenti dal commercio, ha notato Woon Tian Yong, analista di Phillip Futures. Questo pesa inoltre sulle valute regionali in relazione all’andamento del dollaro americano.
Un report di ANZ è dello stesso avviso, osservando che le valute asiatiche resteranno presumibilmente deboli rispetto al dollaro americano durante il prossimo anno. «Il nostro pessimismo sulle monete asiatiche deriva principalmente dalle politiche economiche che Trump ha promesso durante la sua campagna elettorale. La sua concezione protezionista in materia di commercio globale è negativa per la crescita dell’Asia, data l’alta dipendenza della regione dal commercio. Sotto la presidenza Trump, il Partenariato Trans-Pacifico (TPP) sarà seriamente minacciato», ha concluso il report.
Trump ha affermato in campagna elettorale che intende estromettere gli Stati Uniti dal TPP, un accordo di libero scambio siglato da 12 Paesi – tra cui Singapore – che insieme compongono il 40% del commercio mondiale. Washington non ha ancora ratificato il TPP.
Woon si attende che il dollaro americano cresca ulteriormente rispetto a quello singaporiano. «Un aumento dei tassi da parte della Federal Reserve a dicembre aumenterà le spinte all’apprezzamento sul dollaro americano», ha rilevato, aggiungendo che la valuta statunitense potrebbe raggiungere quota 1,44 dollari singaporiani entro il prossimo anno.
Traduzione a cura della Redazione
Fonte in lingua originale qui